(Il testo riportato non riveste carattere di
ufficialità)
Commissione
Tributaria Provinciale di Cosenza
(Sez.
7 Presidente. Acri, Relatore. Carricato)
Sent.
20 giugno 2002, n. 75
….
Omissis
B. R., geometra, con istanza spedita (a mezzo
raccomandata A/R) il 17.12.1999 chiedeva al Centro di Servizio II.DD. di
Salerno il rimborso della somma di £ 628.000, versata per Imposta Regionale
sulle Attività Produttive (IRAP) per l’anno 1998, oltre interessi, ritenendola
non dovuta. Allegava la documentazione comprovante il versamento del tributo.
Trascorsi inutilmente i prescritti 90 giorni previsti
dall’art.21/comma 2 del dlgs n.546/92, il contribuente contro il
silenzio-rifiuto del Centro di Servizio di Salerno proponeva ricorso alla
presente Commissione adducendo la incostituzionalità dell’art.3 della legge
23.12.1996 n.662 istitutiva dell’IRAP, disciplinata successivamente dal dlgs
15.12.1997 n.446.
Il contribuente nell’impugnativa sosteneva che
l’imposta non colpiva il reddito, comunque definito, né il patrimonio, ma
soltanto un ipotetico reddito basato “sulla capacità produttiva che deriva dalla
combinazione di uomini, macchine, materiali” ed altro, senza tener conto della
capacità contributiva del contribuente in base al reddito effettivo.
Pertanto, sulla base della normativa, qualunque
attività professionale sarebbe soggetta a tassazione a prescindere
dell’effettiva produzione di reddito.
Faceva altresì osservare che la norma, di fatto, ha
posto in essere l’equiparazione tra impresa e lavoro autonomo, concezione al di
fuori dello nostro ordinamento giuridico (corte costituzionale sentenza n.42/1980).
Inoltre, rilevava che il libero professionista come
tale, cioè senza organizzazione, ai sensi dell’art.2238 del c.c. non è un
imprenditore, ma svolge un’attività le cui prestazioni sono di carattere
personale (art.2232 cc); e che la legge istitutiva dell’IRAP violava alcuni
principi costituzionali quali: la correlazione tra imposizione tributaria e
capacità contributiva (art.53), l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla
legge (art.3) e la tutela del lavoro (art.35).
Riteneva violato, altresì, l’art.23 della
costituzione in quanto l’imposta dovuta in acconto veniva a dipendere non da
norme di legge, ma da disposizioni di rango inferiore (decreto ministeriale con
relativa tabella).
Il
contribuente concludeva con la richiesta di:
·
“dichiarazione di NON
manifesta infondatezza delle eccezioni d’illegittimità costituzionale” e
trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale;
·
in via subordinata
accoglimento del ricorso e, quindi, rimborso della somma versata, oltre
interessi e con vittoria delle spese di giudizio.
L’Ufficio con le controdeduzioni depositate il
13.06.2000 (ricevuta n.S-6688/00) eccepiva l’inammissibilità del ricorso perché
notificato al Centro di servizio anziché all’Ufficio delle Entrate.
La
richiesta del contribuente è fondata e merita accoglimento.
In via preliminare l’Ufficio ha eccepito
l’inammissibilità del ricorso, notificato al Centro di Servizio di Salerno,
ufficio non legittimato passivamente.
L’eccezione è infondata. La Commissione osserva che
il centro servizi è un ufficio che fa parte della stessa amministrazione
finanziaria dell’Agenzia delle Entrate e che esiste tra loro l’obbligo di
trasmettere l’atto all’ufficio competente.
Ma, in proposito, è decisiva a favore della
posizione del contribuente la norma di cui al 3° comma dell’art.156 c.p., che
prevede la sanatoria dei vizi dell’atto che abbia raggiunto lo scopo cui esso è
destinato.
Questa condizione si è verificata con la
costituzione in giudizio dell’Ufficio passivamente legittimato, per cui si è
costituito tra le parti un regolare contraddittorio.
Il contribuente, nel ricorso, ha poi sollevato
l’illegittimità costituzionale dell’art.3 della legge 23.12.1996 n.662
istitutiva dell’IRAP, disciplinata successivamente dal dlgs 15.12.1997 n.446,
sotto il profilo che non esiste, nel caso del libero professionista, una
ricchezza aggiunta assoggettabile ad un nuovo e diverso tributo.
In udienza, essendo frattanto intervenuta la
sentenza della Corte Costituzionale 21 maggio 2001 n.156 sullo argomento, la
parte istante ha dedotto l’inesistenza del presupposto per l’assoggettabilità
del suo reddito all’IRAP.
Il Giudice delle leggi, con la richiamata sentenza,
ha precisato che l’IRAP non è un’imposta sul reddito prodotto o conseguito,
bensì un’imposta di natura reale, che colpisce il valore aggiunto derivante
dall’attività autonomamente organizzata.
Colpisce, in buon sostanza, la ricchezza che deriva
dalla organizzazione del capitale e del lavoro di terzi, in aggiunta a quella
riferibile all’attività personale dell’imprenditore. Questa ricchezza proviene
autonomamente dall’organizzazione dei predetti fattori anche in assenza
temporanea dell’impiego del lavoro dell’imprenditore.
Di qui la conclusione che non sono fondate le
diverse eccezioni di illegittimità costituzionale, sollevate da vari giudici
tributari di merito. Invero il legislatore ha piena discrezionalità nel
reperire fonti d’imposizione, anche totalmente nuove rispetto al passato,
purché si mantenga entro i limiti della ragionevolezza e colpisca una fonte
certa di ricchezza e non una ricchezza apparente.
Nel caso della nuova imposta, IRAP, concorrono
entrambi i citati elementi.
L’assoggettamento ad IRAP del valore aggiunto
prodotto da ogni tipo d’attività autonomamente organizzata, sia essa di origine
imprenditoriale che professionale, è pienamente conforme ai principi di
uguaglianza e di capacità contributiva perché, in entrambi i casi, è identica
l’idoneità alla contribuzione ricollegabile alla nuova ricchezza prodotta.
Peraltro la Corte Costituzionale non ha ritenuto la
nuova imposta e, quindi, la normativa che l’ha istituita lesiva della garanzia
costituzionale del lavoro. Ha, però, avvertito la necessità di precisare che,
un’attività professionale che fosse svolta in assenza di elementi di organizzazione,
risulterebbe mancante il presupposto stesso dell’imposta sulle attività
produttive.
In definitiva il professionista che, nell’esercizio
della libera professione, spende soltanto la propria opera, non produce quella
ricchezza aggiuntiva e non realizza il presupposto per l’applicazione della
nuova imposta. In questa ipotesi l’imposta verrebbe applicata sul reddito e non
sulla nuova ricchezza, come espressamente richiede la legge che l’ha istituita.
Ovviamente si trova in questa condizione quel
professionista o lavoratore autonomo che non utilizza il lavoro di dipendenti o
collaboratori organizzato insieme a capitali impiegati in beni strumentali, che
migliorano la produttività del lavoro e producono quella ricchezza aggiuntiva
oggetto dell’IRAP.
La Corte ha concluso che, valutata la normativa in
questi termini, non si pongono problemi di costituzionalità, ma occorre
soltanto accertare nel merito, caso per caso, se c’è nell’esercizio della
libera professione l’organizzazione, come sopra intesa, e quindi la produzione
della ricchezza aggiuntiva; oppure se i due fattori mancano e, quindi, difetta
il presupposto dell’applicabilità dell’imposta.
L’esame di questo specifico punto compete al giudice
di merito.
Definito questo dato di fondo attinente all’interpretazione
della normativa, occorre chiarirne un secondo, non meno importante sotto il
profilo dell’esercizio della potestà impositiva. Cioè se, in sede di
instaurazione della procedura amministrativa di accertamento, incomba
all’ufficio l’obbligo di accertare l’esistenza del presupposto dell’imposta,
ossia l’esistenza dell’organizzazione e della produzione della ricchezza
aggiuntiva, oppure se esso gravi sul contribuente una volta ricevuta la
contestazione sia sotto forma di accertamento, che di liquidazione dell’imposta
ex art.36bis del dpr 600/1973.
La risposta è scontata: l’accertamento dei dati
costituisce indubbiamente un obbligo giuridico dell’ufficio, che pertanto è
tenuto a fornire, in sede contenziosa, la prova dell’esistenza dei due elementi
nei singoli casi.
Il difetto di tale prova comporterebbe
l’illegittimità dell’atto e la conseguenza dichiarazione di mancanza di
validità giuridica. Nel caso di specie, il ricorrente ha agito per la
restituzione dell’IRAP già versata, e quindi incombeva a lui l’onere di
chiarire la propria posizione.
Egli lo ha fatto in udienza, nonostante il fatto che
il difetto del presupposto emerga anche dalla stessa dichiarazione annuale in
possesso dell’Ufficio. Quest’ultimo, nel contraddittorio, non ha contestato i
dati esposti del ricorrente, ma si è limitato a controdedurre che a suo
giudizio non esistono le condizioni invocate.
Dall’attenta valutazione di tutte le risultanti
processuali, la Commissione ritiene di poter affermare nel caso in esame che
mancano gli elementi di organizzazione e, conseguentemente, anche la ricchezza
aggiuntiva imponibile.
Peraltro il ricorso è pienamente ammissibile essendo
stati rispettati i termini di legge sia per la proposizione della domanda che
per l’inoltro del ricorso contro il silenzio-rigetto. Al contribuente, dunque,
spetta il rimborso dell’IRAP non dovuta e versata per errore.
La
Commissione, considerata la difficoltà interpretativa della normativa in
materia, ritiene che sussistano giusti motivi per compensare le spese processuali.
La
Commissione accoglie il ricorso e dispone che l’Amministrazione Finanziaria
rimborsi a R. B. l’importo indebitamente versato di euro 324,33 (pari a £
628.000), oltre gli interessi di legge maturati e maturandi.
Spese
compensate.
Il
Relatore Il Presidente
Carricato Acri